DOCUMENTI INEDITI DEL XV E XVI SEC. A CURA DI LUIGI SQUIZZATO   

 

Home

Il guerriero della pala

Documenti Costanzo

Lo studiolo notarile
in Vicolo dei Vetri

La casa del fregio

 

Villa Chiminelli
a S. Andrea

 Documenti villa

 

I Soranzo

Nascita della Soranza

Documenti
Soranza

Il Formaggio del Monte Grappa

Ca' Soranzo
a San Polo

I palazzi Novello

Documenti Novello

Le tombe di San
Giacomo

 

I Corner

 

Inventario di
casa Dotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ma chi è veramente il guerriero dipinto dal giorgione nella pala di castelfranco?

san nicasio o il reverendo fra muzio costanzo

Il giovine guerriero, rappresentato sulla parte sinistra in basso della Pala di Giorgione a Castelfranco, ha da sempre richiamato l’attenzione non solo di storici dell’arte, ma anche di tanti studiosi del territorio. Già da qualche tempo è stata messa da parte l’ipotesi d'identificare nel personaggio armato San Giorgio: per la mancanza di elementi iconografici (es.il drago), per non essere mai esistita una cappella dedicatagli all’interno della primitiva chiesa di San Liberale nel castello, anche se a tal santo era stato attribuito l’altare della "detta cappella Costanzo" dal vescovo Alvise Molin nel 1603, durante una visita pastorale. Si era fatto pure il nome di San Liberale, patrono della medesima chiesa a lui dedicata all’interno delle mura. Ultimamente, a seguito delle ricerche di J. Anderson, molti studiosi sono concordi nell'individuare nel guerriero della pala San Nicasio martire, Santo identificato come un ipotetico patrono dei Gerosolimitani (in seguito Cavalieri di Malta), essendo appunto appartenuto a tale Ordine, nonché nell’individuare in lui una simbolica connessione con San Francesco,  venerato a Messina, città dove si era stabilito un ramo della famiglia Costanzo.

Nell’imminenza del quinto centenario dalla morte di Giorgione ho rinvenuto in alcuni documenti, conservati negli Archivi di Stato di Venezia e Vicenza sez. Bassano del Grappa, alcuni atti interessanti sui Costanzo. Tra le cospicue testimonianze riguardanti la presenza dei componenti di tale famiglia nella zona, mi sono ritrovato tra le mani scritti che attestavano l’esistenza di un figlio di Tuzio, finora poco considerato: il reverendo fra Muzio Costanzo, cavaliere della sacra religione Jerosolimitana. Tra i tanti, ho scelto quattro rogiti notarili, qui trascritti e tradotti in forma letterale, in cui si cita o è presente in prima persona l'anzidetto Muzio a Castelfranco. Viene quindi a chiedersi, se molte circostanze coincidono: età e appartenenza all’ordine religioso dei Gerosolimitani di Muzio, descrizione scrupolosa e accurata dell’armatura (in casa Costanzo di certo non né mancavano), ingenua prestanza di un giovane, che ha tutta l’aria di non aver mai fino a quel momento visto in faccia la cruenza della guerra, sia veramente Muzio, fratello di Matteo, il guerriero della pala?

Un paragone tra i due personaggi mi pare opportuno. San Nicasio martire dell'Ordine Gerolosimitano, nato in Sicilia in data imprecisata e morto nel 1187 (caduta del regno di Gerusalemme), era ed è venerato in Sicilia occidentale a Caccamo, Palermo e Trapani e sporadicamente in altre località. Nel corso del medioevo veniva  iconograficamente effigiato come persona in età matura e con la barba. Solo dal XVII sec. in poi è stato talvolta raffigurato in età giovanile, non più con la croce dei Giovanniti o meglio Gerosolimitani, ma con il classico simbolo della croce dei Cavalieri Malta e sempre con la foglia di palma in mano, simbolo di martirio; elementi non riscontrabili nel guerriero della pala di Castelfranco. Sembra che inoltre fosse venerato e invocato per ottenere la guarigione dalle "scrofole", malattia del collo, di cui pare fosse soggetto, ma in contraddizione a ciò, il nostro personaggio mostra il collo completamente sano e scoperto. Non risulta essere mai stato venerato come protettore dell’Ordine, perché solo la Madonna, detta anche "Vergine di tutte le Grazie" è sempre stata la patrona e simbolo della spiritualità dell’Ordine, assieme a San Giovanni Battista, santo da cui proviene l’appellativo di Giovanniti od Ospedalieri di San Giovanni. A riprova di ciò, questi ultimi sono di fatto richiamati e inseriti tra le quattro ricorrenze inderogabili che si dovevano festeggiare nella commenda di san Silvestro di Barbarano, appartenente in quel tempo, all’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani come in un documento qui inserito.

Muzio, di Tuzio Costanzo e Isabella de Verni, nasceva a Venezia o forse a Castelfranco, in data da collocarsi dopo il 1479. Ad accreditare il periodo, sappiamo che la Repubblica Veneta aveva negato il ritorno a Tuzio in Cipro richiesto da Caterina Cornaro nel 1475, ma che aveva dato nel 1477 il benestare per il ricongiungimento della famiglia facendo arrivare a Venezia la moglie Isabella con i figli [1]. quindi nel 1479, a Tuzio era stata comunicata la conseguita eredità e vicereggenza di Cipro a seguito della morte del padre Muzio [2]. Solo dopo tale data a un nuovo nato in casa Costanzo poteva essere assegnato tale nome, com’era fino al secolo scorso nella tradizione il tramandare il medesimo nome tra nonno e nipote. Come in tutte le famiglie legate alle antiche tradizioni feudali in Cipro, Muzio era al corrente di non fare affidamento sui beni paterni, andati al primogenito Giovanni; ne fa fede il testamento di Tuzio e l’atto di donazione a Giovanni e Tommaso, rispettivamente il maggiore e il minore dei figli di Tuzio, fatto redigere dalla madre Isabella nel 1530 a Castelfranco, nei quali si avvalorava quanto sopra menzionato sulla primogenitura ereditaria. Muzio, essendo il terzogenito maschio, decideva, a differenza degli altri suoi fratelli Matteo e Tommaso, che avevano optato per l’arte militare, di scegliere la via religiosa, come altri suoi antenati, entrando nell’Ordine dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni Battista e seguendo il percorso di completa dedizione all’ordine, professando i voti di castità, povertà e obbedienza.
La carriera nell’Ordine, come si può costatare dai documenti, lo portava a diventare commendatario del Priorato di San Silvestro di Barbarano sicuramente prima del 1516, dal 1529 al 1537 Gran Priore di Lombardia e Venezia e in seguito, come si evince dagli atti sotto riportati, "Armiraglio della sacra religione Jerosolimitana". Proprio in virtù di tale scelta non poteva ricevere beni ne disporne di propri. Di lui si hanno notizie a partire dal 27 novembre del 1516, anno in cui suo padre Tuzio, in nome del figlio "uti procurator generalis et procuratorio nomine reverendissimi domini fratris Mutii Constantio de ordine Hierosolymitanorum filii sui et commendatarii ecclesie Sancti Silvestri de Barbarano districtus Vincentie", si fa sostituire da messer Marco Busato di Castelfranco nella conduzione dei beni della commenda e priorato di San Silvestro di Barbarano (VI), di certo giustificato dall’età o da un successivo impegno richiesto dalla Repubblica Veneta.
Citato nel documento del 23 aprile del 1536, data del testamento del fratello Tommaso a Castelfranco, "in domo magnifici Thome infrascripti posita intra menia", in cui lo stesso fratello, dettando le sue ultime volontà prima di affrontare una nuova campagna bellica, lo designa in qualità di commissario ed esecutore testamentario assieme al cognato Francesco Donà, Giovanni Corner e Cecilia sua moglie "eccelentia signor Mutio Costanzo armiraglio dela sacra religione Jerosolimitana suo honorevole fratello el clarissimo cavalier et procurator de San Marco domino Francesco Donato suo honorevole cugnato el clarissimo domino Zuan Corner del quondam clarissimo messer Zorzi cavalier et procurator de San Marco et la magnifica madona Cycilia sua dilectissima consorte", quindi presente in quel periodo a Castelfranco o a Venezia.
In prima persona era in casa del fratello Tommaso, nell’atto del 14 giugno del 1541, dove liberava e francava un suo schiavo e servitore etiope … "Ibique cum per multos annos reverendus et magnificus eques Jerosolimitanus et benemeritus armiraleus sacris religionis dominus Mutius Constantio habuerit et tenerit pro sclavo Franciscum etiopem"… e infine in quello del 4 luglio dello stesso anno, sempre a Castelfranco, dove locava per tre anni il priorato di San Silvestro di Barbarano al reverendo Benedetto de Bollis, arciprete di Santa Maria di Argiano.

Nell’anno in cui Giorgione si accingeva a dar mano alla pala commissionatagli, Muzio poteva avere all’incirca venti anni, quattro o cinque meno del fratello Matteo, un’età approssimativamente corrispondente a quella del guerriero alla base sinistra del trono. Di sicuro fra Muzio è stato il modello a disposizione di Giorgione nella stessa casa dei Costanzo in Castelfranco a fine primavera o inizio estate in un anno ancora da definire. Dall’ombra netta e quasi zenitale proiettata sulla scacchiera del pavimento dal guerriero e dallo stendardo, si desume che Giorgione abbia lavorato a quella figura del guerriero nelle ultime ore antimeridiane e per un periodo ben preciso. La Madonna con il bambino, San Francesco e il paesaggio sullo sfondo, con tutto l’apparato scenico predisposto, presentano invece ombre più morbide e allungate in consonanza con un periodo da collocarsi tra fine estate e inizio autunno.

Giorgione definito da Jaynie Anderson “pittore della brevità poetica”, dimostra anche di essere pittore dell’essenzialità e niente compare nelle sue opere che possa ritenersi superfluo o estraneo all’opera stessa. Anche l’impalcato scenografico allestito dal Giorgione a schema per la pala di Castelfranco, a parer mio, era contrassegnato, oltre che dall’essenzialità, da dei modelli di semplicità e di quasi improvvisazione, nel mettere assieme oggetti e utilizzare materiali a disposizione: “do casse” o cassoni, un trono di un’evidenza essenziale, un’asta, "braza diexe de pano scharlato, tre tapedi aladamaschina e turcheschi e un covertoro de veludo cremesin" e, per finire, a corredare il tutto, uno sfondo di un paesaggio, visto come tale solo dalla medio alta pianura veneta. Due casse, reputo, che forse aveva scelto tra le tante disponibili in casa Costanzo, probabilmente modificate in altezza nel dipinto, e un trono, fatto costruire velocemente dal "marangon" del quartiere del Musile: la prima, "una cassa de nogara granda" chissà, dipinta con "l’arma" dei Costanzo, la seconda di "talpon biancha", di forma più ristretta in lunghezza e già predisposta per la "depentura". Non condivido affatto la lettura che si fa del sarcofago in porfido: primo perché i Costanzo non vantavano discendenze di un certo prestigio, secondo perché, se l’intenzione di Giorgione e del committente Tuzio fosse stata tale, nella pala lo stemma con l’arma sarebbe monocromo, della stessa tonalità della pietra. Oltretutto, non si trovano riscontri comparativi in opere scultoree sulla stessa tipologia pervenuteci, data l’elevata durezza, la struttura microcristallina e le difficoltà nella lavorazione del materiale, particolarmente nella realizzazione delle cornici rialzate a spigolo. Questo materiale si presta a essere lavorato con forme bombate e con modanature di un più consistente spessore. Un attento esame delle cornici, mi fa invece ritenere che si tratti di un comune cassone di legno di noce. Tali "casse", il giorno d’oggi chiamate più comunemente "cassepanche", per l’uso e la forma più normalizzata, presentavano all’epoca una varietà dimensionale, di diverse qualità di legni, di forma e colore. Le più pregiate, presenti nelle stanze di rappresentanza, di solito erano dipinte con lo stemma della casa. Basta sfogliare qualche istrumento notarile d’inventario o d’assegnazione della dote alla sposa del tempo, per rendersene conto. Abbinate ai forzieri, di dimensioni altrettanto varie e predisposti per riporre le cose più preziose, erano in quei tempi gli unici mobili atti a riporre biancheria e vestiario e quant’altro. Ne fanno fede, anche da un punto di vista iconografico, le rappresentazioni pittoriche e illustrative d’interni dell’epoca.

[vedi inventario di casa Dotto]

1. Doppia confluenza dei punti di fuga
2. La linea rossa, (altezza dei personaggi) evidenzia che il presunto sarcofago in porfido non aveva misure adeguate a contenere una salma

Anche la doppia sovrapposizione prospettiva rilevabile nella pala di Giorgione fa presupporre l’utilizzo delle casse: la prima confluenza dei punti di fuga più in basso è legata alla rappresentazione della parte inferiore e la seconda confluenza, più in alto, invece è legata alla parte superiore. Nella prima fase Giorgione delineava i personaggi di fra Muzio (il guerriero) e San Francesco con alle spalle la prima cassa di "nogara granda". Dopodiché utilizzando il medesimo punto d’osservazione e di lavoro, sistemava la seconda cassa bianca con il trono sul pavimento, collocandola al posto della prima; evidentemente, oltre che per completare la parte superiore dell’opera, per dare la stabilità all’impalcato e più sicurezza alla modella utilizzata per la Madonna. Il risultato come si percepisce è la sommatoria delle due visioni prospettiche, forse non corrette dal poco tempo avuto a disposizione per la realizzazione e dalla sollecitudine e impazienza da parte del committente Tuzio richiesta a Giorgione.

Dubito sia opera di Giorgione il "medaglione con l’arma" della pala, troppo scentrato, grande e di modesta fattura. Lo stemma sulla pala presenta delle evidenti diversità rispetto a quelli di casa Costanzo e della lastra sepolcrale marmorea di Matteo. Forse è l’unica aggiunta posteriore fatta fare dai discendenti "affictione dele insegne". Ancora nel 1536, a quasi vent’anni dalla morte di Tuzio, le sue disposizioni non erano ancora state eseguite il figlio Tommaso nel suo testamento lascia l’ingrato compito all’erede Scipione di provvedere con il concorso nelle spese dei cugini ciprioti alla riesumazione dal pavimento del padre e alla costruzione con la posizione in alto di un sepolcro marmoreo simile a quello di Matteo "vole esso magnifico testatore che lo infrascripto suo herede de ciò si bochi cum li magnifici fioli del quondam magnifico signor Zuane suo fratello et intenda se tal legato sii ita adimpito et in caso che non fosse sta exegito vole et cosi lassa et ordina chel infrascripto suo herede per la sua portione quello advengono adimpire et exegere debba et similiter ancho contribuisca per la sua rata alla spesa dela contructione et electione in alto dela sepultura del prefato quondam clarissimo signor Tucio cum positione et affictione dele insegne affirmando per la bona memoria che quello esser sta cosi ordinato et disposto". Poiché nulla c’è pervenuto di questo secondo sepolcro marmoreo, possiamo immaginarci che le spoglie di Tuzio siano rimaste in mancanza d’accordo tra le parti "di rimando in rimando" per terra, nel pavimento della Cappella, come usanza dell’epoca a Castelfranco (vedi tombe ultimamente ritrovate sotto il pavimento in S. Giacomo). D'altronde lo stesso Tommaso esige "che quando gli occorera passar de questa vita ubique fuerit, et reperietur, el corpo suo esser sepulto in la chiesa de miser San Liberale pieve de dentro de Castelfrancho apreso le osse del quondam clarissimo suo padre et premorti soi" non specificando forme particolari di sepoltura se non "che inmediate do poi la morte de esso signore testatore tutta la fameglia che alhora si troverà a soi servitii sia vestita de bruno da esso suo herede per lamor de Idio et per lanima sua". Devozione particolare della famiglia Costanzo a San Francesco.

Casa Costanzo

Tomba Matteo

Pala

[1] “Dominus Tutius possit uxorem et familiam suam levari facere pro conducendo venetias non possendo tam levare aliquem parieum seu parieam”. ASVE. Deliberazione miste, Registro 19, 28 giugno 1477, cc. 18

[2] “Quod scribatur consiliariis et provisori Cypri et successoris suis pro domino Tutio Constantii milite pro consequenda Vdomirati Cypri quondam patris sui, in ea forma que dominio et capitibus huius consilii videbitur”.
 ASVE. Deliberazione miste, Registro 19, 29 dicembre 1479, cc. 169

 

Documenti Costanzo

 

 

Tutti i diritti riservati. Ogni diritto sui contenuti del sito è riservato ai sensi della normativa vigente. 2010

info